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La “zia” di tanti bimbi, tifosa rosa come pochi: l’addio di Palermo ad Anna Romano

(gm) Migliaia di palermitani hanno tributato un ultimo caloroso e commosso addio nella Chiesa di Valdesi ad Anna Romano, la donna di 65 anni travolta e uccisa da uno scooter mentre attraversava la strada all’Addaura. Una donna molto conosciuta e apprezzata a Palermo per le sue molteplici attività, legatissima al mondo del tennis e abituale frequentatrice dello stadio fin dai tempi dell’adolescenza. “Vitogol”, amico d’infanzia e testimone di nozze, ha voluto ricordarla con un pezzo che siamo lieti di ospitare.

Guardate bene lassù in quella vecchia foto in bianco e nero: se aguzzate la vista forse scorgerete in Gradinata tre ragazzi e una pancia. Palermo – Milan del 29 marzo 1981. Il Milan tenta la risalita in Serie A, mentre il Palermo fatica, sotto il peso di 5 punti di penalizzazione, per evitare la retrocessione. Alla vigilia della gara, Veneranda è esonerato e Favalli va in panchina con il supporto tecnico di Zeman, allenatore della Primavera. Contro ogni pronostico, vinciamo 3-1 con tripletta dell’ex Egidio Calloni.

Di quel gruppo: Anna, Gabriele ed io (che pochi mesi prima ero stato loro testimone di nozze), con me è rimasto solo Francesco, l’ospite della pancia che quel giorno ballonzolava più del solito nel liquido amniotico e che per un solo attimo di scherzosa euforia post-partita Gabriele propose ad Anna di chiamare Egidio.

Le stesse lacrime, gli stessi abbracci

A poco più di tre anni dalla morte di Gabriele sono tornato nella Chiesa di Valdesi; la stessa folla commossa e variegata, gli stessi incontri con vecchi amici che ormai vedo solo ai funerali, le stesse lacrime, gli stessi abbracci in un tristissimo deja vu che accomuna nell’epilogo due vite che erano nate per essere vissute insieme. Due respiri sincroni che erano, e adesso sono per sempre, uno solo.

Anna è morta martedì, travolta all’Addaura su strisce pedonali sbiadite e ancor più superflue del solito in una città in cui, più che altrove, le regole sono fatte solo per essere infrante e dove la vita, che non ha un prezzo, sembra non avere neppure un valore.

Ma Anna non era soltanto, come ho letto su vari mezzi di informazione, “la zia del grande tennista Cecchinato”. Anna era molto, molto di più. Per me, l’amica fedele di una vita; per tutti, una donna generosa, carismatica, entusiasta, vulcanica, innamorata della vita anche se, dopo aver rischiato di perderla per una grave malattia, sembrava essersi ormai rassegnata a viverla oltre Gabriele.

La “zia” di tanti bambini

La chiesa era piena di tante giovani mamme che indossavano fiere le loro magliette donate da Anna; azzurre o rosa, a seconda del sesso del nascituro, e con la scritta “Grida o respira” e un volto di bimbo che si affaccia sulla promessa più dolce: “Arrivo presto, Zia Anna”.

Perché Anna, nata come insegnante di Educazione fisica, era diventata esperta conduttrice di corsi pre-parto, un’attività con cui ha aiutato centinaia di donne confuse e smarrite all’approssimarsi dell’atto sublime del diventare madre. In questa veste, Anna era diventata amica, confidente, sostegno e seconda madre di tante; era sì zia, ma di tanti bimbi che oggi rompevano il silenzio di una Messa funebre, e non solo di un grande campione.

“Ci vediamo alla prossima partita”

L’ho sentita al telefono sabato scorso; da quando era morto Gabriele, capitava spesso che ci incontrassimo sotto casa sua o davanti al cancello del Circolo prima o dopo la partita per passeggiare insieme. “Mi dispiace, oggi non vengo; devo andare a una festa di compleanno pianificata prima che pubblicassero il calendario della Serie B. Ci vediamo alla prossima partita”. Ed invece Anna s’è ricongiunta al suo Gabriele martedì scorso e per lei, per noi, non ci sarà “la prossima partita”.

Nel cammino della vita, ciascuno di noi mantiene nella memoria ogni nuova importante esperienza: ricordiamo benissimo la prima volta che ci siamo innamorati o che abbiamo fatto l’amore, la prima volta che siamo usciti di casa da soli, la prima volta che ci siamo sentiti traditi, la prima volta che un lutto ci ha squassato il cuore, la prima conquista professionale. Ma invece, e per fortuna, siamo privi della capacità di identificare quel momento fatale in cui la vita si degna di concederci “un’ultima volta”.

L’ultima volta che…

L’ultima volta che auguriamo la buonanotte a chi ci dorme accanto. L’ultima volta che torniamo nel nostro posto dell’anima. L’ultima volta che vediamo un tramonto sul mare. L’ultima volta che accarezziamo il nostro cane o che ascoltiamo la nostra canzone preferita. L’ultima volta che parliamo con una persona cara. L’ultima volta che siamo stati felici, o quanto meno sereni.

Se, come dice il grande Vasco, “voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha” posso solo sperare, contro ogni evidenza, di imparare a vivere ogni gioia della vita, piccola o grande che sia, come fosse l’ultima volta. Per poi gioire ancor di più nel constatare che, per un grazioso regalo del fato, non lo è stata e che “quell’ultima volta” è stata, ancora una volta, rimandata.

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Fonte: StadioNews24

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Redazione

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